( tratto da uno scritto “I CARRI PIOMBATI” di Antonio Zanon Dal Bo nel libro ’ Venezia nella Resistenza ‘ stampato dal Comune di Venezia nel 1976 e dal sito www.Sotziu.it)
Un buon modo di celebrare la giornata della memoria è quello di ricordare le gesta di persone che con il loro sacrificio hanno contribuito a riportare la democrazia e la libertà nel nostro paese.
Persone che spesso hanno pagato con la loro vita l’amore per la loro Patria e per gli altri.
Dopo il fatidico 8 settembre, già alla fine di quel mese decisivo per le sorti dell’Italia, si era giunti a determinare se la resistenza sarebbe dovuta continuare come semplice ripresa dell’antifascismo clandestino o se invece si sarebbe dovuta trasformare in una resistenza armata.
Per fare questo passaggio l’antifascismo così come si era radicato avrebbe dato indirizzi e guide, trovando la forza di passare dalla critica ideologica all’elaborazione di programmi politici di ribellione contro la dittatura, con la conseguente partecipazione attiva nella guerra di liberazione.
Molti ferrovieri veneti, sia del personale esecutivo che di quello direttivo, si misero subito a disposizione del CLN regionale, guidato da un uomo che aveva in mezzo a loro un grande prestigio morale e un grande ascendente, l’ing. Bartolomeo Meloni.
Meloni nato a Cagliari nel 1900 si era laureato in ingegneria al Politecnico di Torino ingegnere, dal 1926 ingegnere ferroviario, è ispettore generale delle Ferrovie dello Stato a Venezia dove risiede continuativamente eccetto due anni in cui è trasferito a Milano per sovrintendere alla costruzione della nuova stazione ferroviaria .
Immagine della vecchia stazione ferroviaria di Venezia negli anni 30
Ispettore Capo delle Ferrovie a Venezia, anche se la sua attività clandestina si è svolta in un brevissimo tempo, (due mesi), con il suo incontro con Silvio Trentin, ha contribuito a scrivere l’inizio di una delle imprese più epiche della resistenza veneziana.
Meloni grazie alla sua esperienza di tecnico, mise a disposizione del primo CLN regionale costituitosi proprio il 10 settembre, il suo prestigio nell’ambiente ferroviario e un gruppo di compagni di lavoro che fu in grado di continuare la sua opera anche dopo la sua cattura avvenuta presto, il 4 novembre dello stesso anno.
I tedeschi volevano convogliare verso la Germania il maggior numero possibile di ufficiali e soldati italiani per servirsene come forza lavoro o eventualmente di combattimento; nella peggiore delle ipotesi per non averli come forza contraria.
I comitati invece volevano farli restare in Italia per creare il nuovo esercito di liberazione partigiana.
Silvio Trentin nel proclama ai veneti “Guardia avanzata della nazione” che scrisse a nome del primo CLN , aveva individuato che il contrasto a quelle direttive di deportazione di massa dovesse essere particolarmente impegnativo e serrato proprio nel la nostra regione dove passavano le vie di comunicazione con l’Austria e la Germania.
Lìazione antifascista clandestina volta quindi non più a impedire o ritardare l’occupazione tedesca, ma piuttosto a salvare i nostri soldati dalle deportazioni e a indirizzarli alla resistenza; fornire alle nuove formazioni militari armi, munizioni ed equipaggiamenti sottratti ai tedeschi; aiutare per motivi umani e politici i prigionieri alleati rimasti liberi e i tanti ebrei minacciati dalla persecuzione razzista avviandoli verso mete di salvezza.
Armando Gavagnin, fra i fondatori del Partito d'Azione e sindaco di Venezia dopo la Liberazione, ricorda, nel suo libro di memorie Vent'anni di resistenza al fascismo, di averlo conosciuto alla Siderocemento di Venezia, che fu nel periodo precedente e successivo ai quarantacinque giorni di Badoglio la sede dell'attività clandestina del PdA .
Bartolomeo Meloni si iscrive al partito dopo alcune sue incertezze dovute al problema di conciliare la fede cattolica con l'impegno in un partito che si dichiarava laico e socialista .
Scoppiata la guerra aveva capito che era giunto il momento di prepararsi all’azione cercando un appoggio solidale conforme al proprio orientamento politico.
Approfittò della sua posizione d’ispettore principale delle ferrovie per dedicarsi all’organizzazione sindacale democratica dei ferrovieri.
Acquistò ben presto fra i compagni di lavoro un ascendente, per la sua integrità morale, per la sua simpatia umana e le sue capacità di guida.
Dopo l’armistizio Meloni seguendo l’indicazione a resistere ad ogni tentativo di occupazione nemica,
con un numero notevole di “volontari”, che poi aumentando via via, avrebbero formato le due brigate “Matteotti”, la X° e l’XI°, preparò con i compagni di lavoro un piano per impedire l’uso dei trasporti ferroviari per l’occupazione.
Ben presto in accordo con le indicazioni dei comitati politici il piano dei ferrovieri fu indirizzato ad una vasta operazione intesa a inutilizzare o ritardare con sabotaggi ben organizzati i treni e le tradotte militari, dove soldati e marinai italiani venivano ammassati dai tedeschi in carri piombati e trasportati in Germania, provocarne fermate inattese in località dove fosse previsto il contemporaneo arrivo delle prime formazioni partigiane delle “Osoppo” che operavano nel Friuli, per assalire i convogli, come nei film western, liberare i rinchiusi, avviarli non solo verso la salvezza, ma liberamente, anche verso un’attività di clandestinità armata.
Viene riportato nel “Notiziario storico della seconda divisione partigiana “Matteotti”: Venezia 29.9.1943, ore 22,30. Per impedire e ritardare la partenza delle tradotte militari, essendo queste troppo sorvegliate venne attuato il taglio dei tubi di gomma per la condotta d’aria dei freni, e successiva asportazione degli stessi; immissione di sabbia nelle boccole delle ruote e provocato riscaldamento assi previa asportazione dei guancialetti. Le operazioni dei ferrovieri veneziani, avvenivano in presenza della scorta tedesca dando l’impressione di svolgere il normale lavoro ferroviario. Nel notiziario vengono indicati i nomi degli autori:
Ugo Cecconi, Giovanni Cumar, Mario Orsini, Adrio Politi, Vittorio Romanin, Sergio Marchiori, specializzati in questo tipo di azioni.
Per fermare o rallentare i treni in determinati posti si ricorreva talvolta a rialzi ben calcolati del livello delle traversine.
In molti carri si riuscivano a introdurre di nascosto, prima che i carri fossero sigillati, cibi, bevande per confortare i rinchiusi, e talvolta si aggiungevano coppie di “piedi di porco” coi quali era possibile sollevare dal di dentro le assi del pavimento dei carri e approfittare di qualche fermata notturna, tanto meglio se in un tunnel, per uscire da sotto.
Si è sentito spesso parlare di una leggenda che raccontava di carri che giungevano a destinazione, piombati ma vuoti, era una leggenda basata su una buona base di verità.
Furono salvati così soldati che non erano riusciti a scomparire nella gran fuga iniziale, marinai, studenti del collegio marinaro di Sant’Elena, anche soldati e marinai trasportati in Italia su navi italiane, come prigionieri dei tedeschi, dalla Jugoslavia e dalla Grecia.
Il numero delle persone che si sono salvate è difficile da calcolare; ma si può affermare con certezza che, se la resistenza partigiana si è consolidata e rafforzata grazie alle pronte fughe dalle caserme e dalla solidarietà della popolazione di città e di campagna, queste operazioni dei ferrovieri veneziani contribuirono a ingrossare le formazioni partigiane con le quali venivano concordate le azioni di salvataggio e di sabotaggio.
Contribuirono inoltre con la sottrazione di armi, munizioni ed equipaggiamenti alle forze tedesche ad aumentare l’efficienza delle fila componenti la resistenza nella pianura e nelle montagne venete e friulane.
La circostanza che ci interessa qui a sottolineare è che molti di questi tipi d’azione vennero, non sappiamo se anche ideati, certo iniziati e portati avanti dall’ing. Meloni in meno di due mesi di attività, durante i quali trovò anche il tempo di partecipare a riunioni politiche del Partito d’azione, che talvolta ospitava in casa sua.
Egli fu arrestato nel suo ufficio il 4 novembre dalle SS tedesche mentre i fascisti perquisivano e saccheggiavano il suo appartamento.
L'arresto di Meloni «fece tremare molti cuori, ma soltanto per la sorte del fratello, tutti sapevamo che egli non avrebbe parlato» .
Le azioni dei gruppi dei ferrovieri non si fermarono con il suo arresto, furono portate avanti fino alla liberazione da Lindoro Rizzi e da Vittorio Menegazzi e da gli altri compagni di lavoro ferrovieri che avevano seguito l'esempio di Bartolomeo Meloni.
Dopo l'arresto Meloni è portato nel carcere di Santa Maria Maggiore, dove resta due mesi e mezzo, poi a Verona da dove è deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau.
Anche nei lunghi mesi della prigionia continua ad assumere su di sé il peso del dolore degli altri e a diffondere la fiducia in una società diversa e giusta in cui non sarà più possibile la barbarie nazista.
Il cancello del campo di sterminio di Dachau
Il cancello del campo di sterminio di Dachau
Il sacerdote don Giovanni Fortin, che gli è compagno di prigionia, ricorda il primo incontro: «C’incontrammo i primi giorni ed ivi scambiammo le nostre impressioni; e dico il vero, mai ho trovato un'anima così aperta, un'anima così profondamente conoscitrice delle umane miserie, un'anima che sentisse veramente il palpito di amore e di tenerezza fraterna per i sofferenti» .
La vita nel campo di concentramento è un inferno a cui solo fibre eccezionali hanno resistito: «Fummo spogliati delle nostre vesti, spogliati, depilati e disinfettati — dicevano loro — con petrolio, e all'aria aperta, a trenta gradi sotto zero, nudi, fummo costretti a correre sulla neve, fatti segno di obbrobrio e di ludibrio da parte della milizia tedesca» .
Da Dachau viene trasferito in un campo di concentramento in Cecoslovacchia dove è costretto a lavorare nei campi. Il cibo non è sufficiente a rigenerare l'organismo per la fatica del giorno dopo e i prigionieri deperiscono in poco tempo. Una sera Bartolomeo Meloni non si regge in piedi dopo il lavoro: «Tornato alla baracca si pose del suo giaciglio, prese sonno, e all'ora dell'appello non poté comparire sulla piazza. Si cercò il mancante e lo si trovò addormentato sopra il giaciglio. Montato in furia il capo della baracca, con un grosso nerbo di bue lo percosse a tale segno da farlo credere morto. Da quel giaciglio non si poté levare; e si giustificò allora l'assenza del colpito, l'assenza del battuto; soltanto allora fu giustificato all'appello»
Trasferito nuovamente a Dachau ancora in gravi condizioni, vi muore il 9 luglio 1944.
Per i compagni che, finita la guerra ne aspettavano il ritorno, l'annuncio della sua morte è un grave colpo. Vengono indette manifestazioni per ricordarlo. In particolare il Circolo artistico di Venezia, del quale Meloni era stato socio e animatore — perché anche per i suoi interessi e le sue conoscenze dell'arte s'era fatto apprezzare — fanno affiggere una lapide nella sala maggiore del Palazzo delle Prigioni che tuttora lo ricorda: «Martire per la Patria e la Libertà — Bartolomeo Meloni — coi primi patrioti veneziani qui — cospirò per la rivolta e la liberazione»
A Venezia, nel palazzo della ex sede delle Ferrovie, in fianco alla stazione, ora occupato dagli uffici della Regione Veneto è visibile nell’androne delle scale, una lapide a ricordo dell’Ing. Meloni deportato a Dachau.
Immagine degli anni 30 della Sede Compartimentale delle Ferrovie dello Stato di Venezia fino agli anni 90, ora Sede di alcuni Dipartimenti della Regione Veneto
Nella sua terra, la Sardegna , per ricordarlo gli è stata intitolata una piazza nella cittadina di Santu Lussurgiu in provincia di Oristano.
Anche noi con questo nostro piccolo contributo vogliamo ricordare, oltre alle gesta coraggiose e generose dei ferrovieri veneziani, anche la figura di questo uomo che per i suoi ideali e per quei valori che non poteva vedere calpestati, non ha esitato a mettere a repentaglio la propria posizione sociale e professionale, fino a rischiare la propria vita.
GIORNO DELLA MEMORIA - Spinea 27 gennaio 2011
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