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ORA E SEMPRE RESISTENZA

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venerdì 28 gennaio 2011

Bartolomeo Meloni e i Ferrovieri Veneziani contro l’occupazione tedesca

( tratto da uno scritto  “I CARRI PIOMBATI” di Antonio Zanon Dal Bo nel libro ’ Venezia nella Resistenza ‘ stampato dal Comune di Venezia nel 1976 e dal sito www.Sotziu.it)

Un buon modo di celebrare la giornata della memoria  è  quello di ricordare le gesta di persone che con il loro sacrificio hanno contribuito a riportare la democrazia  e la libertà nel nostro paese.
Persone che spesso hanno pagato con la loro vita l’amore per la loro Patria e per gli altri.
Dopo il fatidico 8 settembre, già alla fine di quel mese decisivo per le sorti dell’Italia,  si era giunti a determinare se la resistenza sarebbe dovuta continuare come semplice ripresa dell’antifascismo clandestino o se invece si sarebbe dovuta trasformare in una resistenza armata.
Per fare questo passaggio  l’antifascismo così come si era radicato avrebbe dato indirizzi e guide, trovando la forza di passare dalla critica ideologica all’elaborazione di programmi politici di ribellione contro la dittatura, con la conseguente partecipazione attiva nella guerra di liberazione.
Molti ferrovieri veneti, sia del personale esecutivo  che di quello direttivo,  si misero subito  a disposizione del CLN regionale, guidato da un uomo che aveva in mezzo a loro un grande prestigio morale e un grande ascendente, l’ing. Bartolomeo Meloni.
Meloni nato a Cagliari nel 1900 si era  laureato in ingegneria al Politecnico di Torino ingegnere, dal 1926 ingegnere ferroviario, è ispettore generale delle Ferrovie dello Stato a Venezia dove risiede continuativamente eccetto due anni in cui è trasferito a Milano per sovrintendere alla costruzione della nuova stazione ferroviaria . 

                                   Immagine della vecchia stazione ferroviaria di Venezia negli anni 30

Ispettore Capo delle Ferrovie a Venezia, anche se la sua attività clandestina si è svolta in un brevissimo tempo, (due mesi), con il suo incontro con Silvio Trentin, ha contribuito a scrivere l’inizio di una delle imprese più epiche della resistenza veneziana.
Meloni grazie alla sua esperienza di tecnico, mise a disposizione  del primo CLN regionale costituitosi proprio il 10 settembre, il suo prestigio nell’ambiente ferroviario  e un gruppo di compagni di lavoro che fu in grado di continuare la sua opera anche dopo la sua cattura avvenuta presto, il 4 novembre  dello stesso anno.
I tedeschi volevano convogliare verso la Germania il maggior numero possibile di ufficiali e soldati italiani per servirsene come forza lavoro o eventualmente di combattimento; nella peggiore delle ipotesi per non averli come forza contraria.
 I comitati invece volevano farli restare in Italia per creare il nuovo esercito di liberazione  partigiana. 
Silvio Trentin nel proclama ai veneti “Guardia avanzata della nazione” che scrisse a nome del primo CLN , aveva individuato  che il contrasto a quelle direttive di deportazione di massa  dovesse essere particolarmente impegnativo e serrato proprio nel la nostra regione dove passavano le  vie di comunicazione con l’Austria e la Germania.
Lìazione antifascista clandestina volta quindi non più a impedire o ritardare l’occupazione tedesca, ma piuttosto a salvare i nostri soldati  dalle deportazioni e  a indirizzarli alla resistenza;  fornire alle nuove formazioni militari  armi, munizioni ed equipaggiamenti sottratti ai tedeschi; aiutare per motivi umani e politici i prigionieri alleati rimasti liberi e i tanti ebrei minacciati dalla persecuzione razzista avviandoli verso mete di salvezza.

Armando Gavagnin, fra i fondatori del Partito d'Azione e sindaco di Venezia dopo la Liberazione, ricorda, nel suo libro di memorie Vent'anni di resistenza al fascismo, di averlo conosciuto alla Siderocemento di Venezia, che fu nel periodo precedente e successivo ai quarantacinque giorni di Badoglio la sede dell'attività clandestina del PdA .
Bartolomeo Meloni si iscrive al partito dopo alcune sue incertezze dovute al problema di conciliare la fede cattolica con l'impegno in un partito che si dichiarava laico e socialista .
Scoppiata  la guerra aveva capito che era giunto il momento di prepararsi all’azione cercando un appoggio solidale conforme al proprio orientamento politico.
Approfittò della sua posizione d’ispettore principale delle ferrovie per dedicarsi all’organizzazione sindacale democratica dei ferrovieri.
Acquistò ben presto  fra i compagni di lavoro un ascendente, per  la sua integrità morale, per la sua simpatia umana e le sue capacità di guida.
Dopo l’armistizio  Meloni seguendo l’indicazione a resistere ad ogni tentativo di occupazione nemica,
con un numero notevole di “volontari”, che poi aumentando via via, avrebbero formato le due brigate “Matteotti”, la X° e l’XI°, preparò con i compagni di lavoro un piano per impedire l’uso dei trasporti ferroviari per l’occupazione.
Ben presto in accordo con le indicazioni dei comitati politici il piano dei ferrovieri fu indirizzato ad una vasta operazione intesa a inutilizzare o ritardare con sabotaggi ben organizzati i treni e le tradotte militari, dove soldati e marinai italiani venivano ammassati dai tedeschi in carri piombati e trasportati in Germania, provocarne fermate inattese in località dove fosse previsto il contemporaneo arrivo delle prime formazioni partigiane delle “Osoppo” che operavano nel Friuli, per assalire i convogli, come nei film western, liberare i rinchiusi, avviarli non solo verso la salvezza, ma liberamente,  anche verso un’attività di clandestinità armata.
Viene riportato nel “Notiziario storico della seconda divisione partigiana “Matteotti”: Venezia 29.9.1943, ore 22,30. Per impedire e ritardare la partenza delle tradotte militari, essendo queste troppo sorvegliate venne attuato il taglio dei tubi di gomma per la condotta d’aria dei freni, e successiva asportazione degli stessi; immissione di sabbia nelle boccole delle ruote e provocato riscaldamento assi previa asportazione dei guancialetti. Le operazioni dei ferrovieri veneziani, avvenivano in presenza della scorta tedesca dando l’impressione di svolgere il normale lavoro ferroviario. Nel notiziario vengono indicati i nomi degli autori:
Ugo Cecconi, Giovanni Cumar, Mario Orsini, Adrio Politi, Vittorio Romanin, Sergio Marchiori, specializzati in questo tipo di azioni.
Per fermare o rallentare i treni in determinati posti si ricorreva talvolta a rialzi ben calcolati del livello delle traversine.
In molti carri si riuscivano a introdurre di nascosto, prima che i carri fossero sigillati, cibi, bevande per confortare i rinchiusi, e talvolta si aggiungevano coppie di “piedi di porco” coi quali era possibile sollevare dal di dentro le assi del pavimento dei carri e approfittare di qualche fermata notturna, tanto meglio se in un tunnel, per uscire da sotto.
Si è sentito spesso parlare di una leggenda che raccontava  di carri che giungevano a destinazione, piombati ma vuoti, era una leggenda basata su una buona base di verità.
Furono salvati così soldati che non erano riusciti a scomparire nella gran fuga iniziale, marinai, studenti del collegio marinaro di Sant’Elena, anche soldati e marinai trasportati in Italia su navi italiane, come prigionieri dei tedeschi, dalla Jugoslavia e dalla Grecia.
Il numero delle persone che si sono salvate è difficile da calcolare; ma si può affermare con certezza che, se la resistenza partigiana si è consolidata e rafforzata grazie alle pronte fughe dalle caserme e dalla solidarietà della popolazione di città e di campagna, queste operazioni dei ferrovieri veneziani contribuirono a ingrossare le formazioni partigiane con le quali venivano concordate le azioni di salvataggio e di sabotaggio.
Contribuirono inoltre con la sottrazione di armi, munizioni ed equipaggiamenti alle forze tedesche ad aumentare l’efficienza delle fila componenti la resistenza nella pianura e nelle montagne venete e friulane.
La circostanza che ci interessa qui a sottolineare è che molti di questi tipi d’azione vennero, non sappiamo se anche  ideati, certo iniziati e portati avanti dall’ing. Meloni in meno di due mesi di attività, durante i quali trovò anche il tempo di partecipare a riunioni politiche del Partito d’azione, che talvolta ospitava in casa sua.
Egli fu arrestato nel suo ufficio il 4 novembre dalle  SS tedesche mentre i fascisti perquisivano e saccheggiavano il suo appartamento.
 L'arresto di Meloni «fece tremare molti cuori, ma soltanto per la sorte del fratello,  tutti sapevamo che egli non avrebbe parlato» .

Le azioni  dei gruppi dei ferrovieri non si fermarono con il suo arresto,  furono portate  avanti fino alla liberazione da Lindoro Rizzi e da Vittorio Menegazzi e da gli altri compagni di lavoro ferrovieri che avevano seguito l'esempio di Bartolomeo Meloni.
Dopo l'arresto Meloni è portato nel carcere di Santa Maria Maggiore, dove resta due mesi e mezzo, poi a Verona da dove è deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau.

Anche nei lunghi mesi della prigionia continua ad assumere su di sé il peso del dolore degli altri e a diffondere la fiducia in una società diversa e giusta in cui non sarà più possibile la barbarie nazista.

                                                 Il cancello del campo di sterminio di Dachau
Il sacerdote don Giovanni  Fortin, che gli è compagno di prigionia, ricorda il primo incontro: «C’incontrammo i primi giorni ed ivi scambiammo le nostre impressioni; e dico il vero, mai ho trovato un'anima così aperta, un'anima così profondamente conoscitrice delle umane miserie, un'anima che sentisse veramente il palpito di amore e di tenerezza fraterna per i sofferenti» .
 
La vita nel campo di concentramento è un inferno a cui solo fibre eccezionali hanno resistito: «Fummo spogliati delle nostre vesti, spogliati, depilati e disinfettati — dicevano loro — con petrolio, e all'aria aperta, a trenta gradi sotto zero, nudi, fummo costretti a correre sulla neve, fatti segno di obbrobrio e di ludibrio da parte della milizia tedesca» .
Da Dachau viene trasferito in un campo di concentramento in Cecoslovacchia dove è costretto a lavorare nei campi. Il cibo non è sufficiente a rigenerare l'organismo per la fatica del giorno dopo e i prigionieri deperiscono in poco tempo. Una sera Bartolomeo Meloni non si regge in piedi dopo il lavoro: «Tornato alla baracca si pose del suo giaciglio, prese sonno, e all'ora dell'appello non poté comparire sulla piazza. Si cercò il mancante e lo si trovò addormentato sopra il giaciglio. Montato in furia il capo della baracca, con un grosso nerbo di bue lo percosse a tale segno da farlo credere morto. Da quel giaciglio non si poté levare; e si giustificò allora l'assenza del colpito, l'assenza del battuto; soltanto allora fu giustificato all'appello»
Trasferito nuovamente a Dachau ancora in gravi condizioni, vi muore il 9 luglio 1944.
Per i compagni che, finita la guerra ne aspettavano il ritorno, l'annuncio della sua morte è un grave colpo. Vengono indette manifestazioni per ricordarlo. In particolare il Circolo artistico di Venezia, del quale Meloni era stato socio e animatore — perché anche per i suoi interessi e le sue conoscenze dell'arte s'era fatto apprezzare — fanno affiggere una lapide nella sala maggiore del Palazzo delle Prigioni che tuttora lo ricorda: «Martire per la Patria e la Libertà — Bartolomeo Meloni — coi primi patrioti veneziani qui — cospirò per la rivolta e la liberazione»
A Venezia, nel palazzo della ex sede delle Ferrovie, in fianco alla stazione,  ora occupato dagli uffici della Regione  Veneto  è visibile nell’androne delle scale,  una lapide a ricordo dell’Ing. Meloni deportato a Dachau.

     Immagine degli anni 30 della Sede Compartimentale delle Ferrovie dello Stato di Venezia  fino agli anni 90, ora Sede  di alcuni Dipartimenti della Regione Veneto

Nella sua terra,  la Sardegna , per ricordarlo gli è stata intitolata una piazza nella cittadina di  Santu Lussurgiu in provincia di Oristano.
Anche noi con questo  nostro piccolo contributo vogliamo ricordare, oltre alle gesta coraggiose e generose dei ferrovieri veneziani, anche  la figura di questo uomo che per i suoi ideali e per quei valori che non poteva vedere  calpestati, non ha esitato a mettere a  repentaglio la propria posizione sociale e professionale, fino a rischiare la propria vita.
 GIORNO DELLA MEMORIA - Spinea 27 gennaio 2011 

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venerdì 21 gennaio 2011

LA RESISTENZA NELLE NOSTRE CAMPAGNE


 Con questa ulteriore testimonianza, tratta da un'edizione dal Comune di Venezia del 1975 a cura di Giuseppe Turcato e Agostino Zanon Dal Bo, continua la pubblicazione su questo SITO delle testimonianze dell'attività dei gruppi partigiani nelle nostre campagne.
Un modo per ricordare e onorare la memoria dei nostri concittadini trucidati dai fascisti delle Brigate Nere a Mirano.

GUERRIGLIA IN PIANURA 

27 aprile 1945. 
Uccio, staffetta partigiana, mi porta la notizia che l'insurrezione è già in atto.
 Eccher ci aspetta al ponte dell'Olio, dobbiamo raggiungere subito Mirano; in piazzale Roma sono pronte le biciclette.
Sono stato tanti giorni chiuso tra una stanza  e un sottoscala di palazzo Morosini a Santa Maria Formosa;  per la strada mi sento come la febbre addosso.
Dopo campo  SS. Apostoli  voglio entrare a Ca' Littoria.

                                                                             
C'è un via vai di partigiani armati, un moto topo sul Canal Grande in partenza per un possibile attacco ad una postazione della  g.n.r.  nella zona portuale.
 C'è uno che mi esorta perché m'imbarchi.
 Ho uno scatto: «Ma chi sei tu?» - «Colonnello Filipponi  del  Comando  Piazza». 
Gli rispondo: «No, colonnello, no, io devo assolutamente raggiungere Mirano».
Per Strada Nuova si spara, i partigiani sono addossati ai muri, io cammino in mezzo e non bado.
Mi richiamano, macché, non c'è gusto,  dopo quello che ho passato mi pare una sciocchezza tanta
prudenza.
Con Eccher ero venuto a Venezia qualche mese prima con una moneta di carta da due lire, tagliata a metà,  per riconoscimento,  da «Leone» (Cavallet) in Corte dell'Orso.


Con i rastrellamenti avevamo avuto troppi  morti: l'11 ottobre quattro partigiani, caduti in combattimento;  il 1° novembre «Negrin» (Licori ), fucilato; il 10 dicembre 1944 i sette della «Luneo» torturati,  massacrati e gettati sulla piazza di Mirano;  il 17 gennaio 1945 altri sette, fucilati al cimitero e molti altri catturati e in carcere,  anche Don Amedeo Cornetto.

All'appuntamento manca Eccher.
Era stato preso dai tedeschi  e portato a Verona:  riuscirà a fuggire dopo qualche giorno.
Qui a Venezia c'è uno sbandamento come da noi. 
Bisogna arrangiarsi.
Una notte ho coliche renali, mi ricoverano in chirurgia all'Ospedale Civile.
Dopo due tre giorni la mamma di Eccher e mio fratello mi portano dei vestiti e mi avvertono che le brigate nere stanno arrivando per catturarmi.
Il fascista capitano Luxardo, nostro ex compagno di liceo al «Marco Foscarinì», che mi braccava, apostrofa il dottor Lago, medico di Mirano e mio amico, dando per certo che mi avrebbero impiccato in piazza.
Con l'aiuto del prof. Vecchi, e in fretta  e furia, andiamo fuori dell'Ospedale.
Ripariamo dentro il caffè Cavallo, mentre in Campo SS. Giovanni Paolo arrivano le brigate nere.
Era stato questione di pochi minuti.
La signora Pierina è spaventata, confusa, ma ha un modo di fare che quasi mette allegria, tale e quale suo figlio.
 Anche lui pare che il partigiano lo faccia per gioco, mentre è nel suo carattere essere così disinvolto e allegro.
 Al disarmo della polizia di Chirignago ha fatto la parte del ladro: era uno stratagemma;  gridava come un ossesso, mentre i compagni lo portavano verso la caserma e agli agenti di guardia, che si erano avvicinati, «mi hanno trovato questa», - diceva -, puntando la pistola.
 C'erano trenta agenti che furono messi in condizione di non nuocere e le armi portate via.
Un'altra volta dovevamo requisire le scarpe dal magazzino della caserma della guardia nazionale repubblicana, come avevamo fatto per il bestiame al raduno fascista della SAMA a Camposampiero e
per le coperte prelevate a Treponti al deposito tedesco e inviate in montagna.
Eravamo arrivati in bicicletta fino a Santa Maria di Sala, si doveva attraversare via Caltana, una strada alberata dove c'erano in sosta una decina di camion tedeschi.
Si sarebbe dovuto fare un lungo giro per evitarla, ma non c'era tempo; io ero preoccupato, lui, veneziano e non abituato alla sella della bicicletta, gongolava.
Propose anzi pane e salame, in una trattoria vicina, «così» - disse - «se moriremo sarà con la pancia piena».
Decisi di passare tra i tedeschi, a  gruppetti  di uno,  due alla volta,  pronti a intervenire.
Ci è andata bene.
Avevamo l'entusiasmo e la spavalderia dei nostri venticinque anni.
Un episodio indimenticabile la forza d'animo, il coraggio, davanti alla morte, di «Negrìn» prima di essere fucilato.
Eppure non ebbe alcuna medaglia al valor militare, nemmeno alla memoria,  per noi sacra.
Poco o nulla è stato fatto per far conoscere il contributo dato da questi oscuri eroi.
Piazza Martiri - Monumento al partigiano  dello scultore Augusto Murer
Quella mattina prima che lo fucilassero c'era folla in piazza davanti alla casa del fascio; io mi sono avvicinato, sono certo che anche lui mi ha visto. 
Infiltrandomi tra la gente mi sono trovato  vicino a Zanchin, il direttore della scuola.
Sono corso a casa di Demonte.
Credevamo di farcela a salvarlo.
Pochi giorni prima il distaccamento «Volga», del quale era comandante, era stato attaccato, a Stigliano, dalle brigate nere.
Le guidava un uomo di ben trista fama, il professor Santi.
Feci i due chilometri, che ci separavano, tutti di corsa, alla testa d'una quindicina di partigiani.
 Al nostro arrivo i fascisti scapparono sul camion. «Negrìn» e il suo vice «Moretto» erano feriti, li sostituiva «Bill».
Mi fermai nel suo accampamento fino a sera.
Tra i prigionieri c'era un tenente delle S.S.
 Lasciai di rinforzo «Fantasma» e Zucca.
All'inizio della lotta il primo C.L.N. era composto da Giancarlo Tonolo del Partito d'Azione, da un comunista,  Michele Cosmai,  altra mirabile figura di antifascista,  da un democristiano,  Luigi Bianchini, da un socialista, Sperandio.
Nel novembre 1943 la missione «ARGO».
Tonolo accoglie il capitano Rossoni,  sbarcato con un sottomarino a Chioggia e mantiene i collegamenti tra il C.L.N. Regionale Veneto e il Comando Alleato.
A Mirano convengono, in più occasioni, alcuni rappresentanti  del C.L.N.  Veneto.  
Ricordo in modo particolare: Ponti, Tonetti e Pasetti.
Fu un crescendo di speranza con i primi lanci alleati, con radio Londra che trasmetteva.
 «255 bianco, il vento è spento, la pioggia è cessata».
Nel periodo estivo il morale era altissimo, anche se la vita d'accampamento, sotto una tenda tra i filari di vite, era dura a causa dei continui spostamenti.
L'iniziativa degli attacchi ai fascisti e ai tedeschi era sempre nostra: caserme di Santa Maria di Sala, Dolo,  Noale,  Scaltenigo,  Mirano,  Marghera,  Chìrignago, e in molte altre azioni condotte in comune accordo con la «Garibaldi Padova» di Molinari e Sabatucci e la «Guido Negri» di Ranzato e Confi.
Una notte di settembre siamo arrivati a Briana, pioveva.
Avevamo cercato di avvicinarci al fienile, ma i contadini si sono messi a sparare scambiandoci per dei presunti  zingari che infestavano la zona.
Eravamo una trentina.
 Abbiamo passato la notte sull'erba sotto la pioggia.
 Alla mattina abbiamo preso contatto con i contadini.
Siamo rimasti in quelle campagne fino al memorabile combattimento del Parauro dell'11 ottobre 1944.
I fascisti della guardia nazionale repubblicana, le brigate nere della «Muti» di Padova,  della «Asara- di Venezia,  di Treviso  e di altri centri sommavano ad alcune centinaia.
 Quattro i compagni caduti: Aiello,  Siciliano,  Bordoni, Emiliano, De Cesaro di Castelfranco, Zucca, sardo.
Dei fascisti molte decine tra morti e feriti come testimoniò anche l'ex Prefetto di Venezia,  Barbera, dopo la liberazione.
Eravamo stati attaccati verso mezzogiorno.
Ho ancora davanti agli occhi una sensazione strana:  il tempo passava quasi senza che me ne accorgessi,  il sole si muoveva visibilmente e calava di colpo a ponente sull'accampamento del «Barba» che era stato attaccato più aspramente di noi.
Altre impressioni di quel giorno: ... a sera il lamento di «uno» che con crescente esasperazione, ripeteva  «Salviati. ... Salviati ... »; ...  il battito convulso che mi prese quando ci siamo portati fuori zona, battevo i denti e non riuscivo a tener ferma la mascella neppure con tutte e due le mani, era la speranza di vivere che tornava; ... quella scodella di grappa appena stillata, alle due di notte, in una casa di Cappella, dove avevamo veduto la luce accesa e una povera donna spaventata che mi gridava: «ti bruci le budella», e mi faceva bere su un secchio pieno di latte, ma a me la grappa era sembrata acqua fresca; ... le undici carte da mille, ridotte ad un ammasso poltiglioso per le traversie di quel giorno, tra l'acqua dei fossi, che avevo messo, con tanta cura, stese vicino al fuoco, e nel gran discorrere con i partigiani della «Lubian - Trentin»
di Bortolato, avevano preso un bel color tabacco e toccando le si sono sbriciolate.
Una lapide sulla strada del Parauro e un monumento al cimitero ricorda i Caduti della «Martiri di Mirano», la mia brigata. (1) In questi giorni un'altra opera in bronzo, scolpita da Murer, ripropone la figura del partigiano sulla nostra piazza, là dove furono trucidati sei giovani contadini appartenenti al «distaccamento Luneo».
Il settimo, Bovo Mosé, fu ucciso sull'aia davanti alla madre terrorizzata.
Ogni tanto rivedo qualcuno dei miei compagni: Bruno Ballan,  Armando Cosmai,  Bruno Tomat - Demonte,  Ruggero Eccher,  Giancarlo Tonolo,  Giovanni Bortolato,  Luigi Bianchini,  Vladimiro Zanchi, Gioacchino Gasparini,  Attilio Sgnaolin,  i fratelli Masaro,  Giovanni Masiero,  Coi, Berto De Bei,  Vescovo e «Titti» la nostra staffetta.
Quando ho l'occasione di passare per Crocetta del Montello,  dov'è parroco, mi fermo a salutare Don Amedeo Cornetto.
L'ultima volta mi presentò una delle poche bottiglie che aveva di quel suo raro vino di uva fragola.
Al ricordo di quei giorni sorrideva e scuoteva la testa, ma nel sorriso, oltre il suo sguardo buono, si è fermato il ricordo dei dileggi, delle bastonature, di quando pesto ed insanguinato era uscito dalla casa del fascio verso i lunghi mesi di carcere a Santa Maria Maggiore.

Venezia-Mirano, 1975
MARIO ZAMENGO (TENENTE)

(1) La Brigata «Martiri di Mirano» su un organico di 109 partigiani combattenti ha avuto 36 caduti (il 30% degli effettivi) dei quali: 17 morti in combattimento, 11 fucilati, 7 trucidati e l deceduto in carcere.

 (tratto dal volume 1943-1945 VENEZIA NELLA RESISTENZA - TESTIMOMIANZE -  Comune di venezia 1975-1976)



                                   Manifestazione contro il Razzismo a Mirano 12 Dicembre 2009



CITTTADINI DI SPINEA CADUTI PER LA LIBERTA' 
 LE LORO STORIE
 
                                                                           BRUNO GARBIN anni 18
                                                                           GIOVANNI GARBIN anni 22
                                                                           Nati a Spinea facevano parte della formazione partigiana
                                                                          " LUNEO "che subì numerosi arresti grazie alla delazione
                                                                           di una spia.
Con altri quattro partigiani ( Cesare Chinellato, Cesare e
Severino Spolaor, Giulio Vescovo) vennero turturati e
trucidati nella casa del fascio di Mirano nella notte tra il
10 e 1'11 Dicembre 1944.
I cadaveri martoriati vennero esposti, per l'intera giornata,
nella piazza del paese come monito alla popolazione.
Un settimo giovane, Mosè Bovo, fu trucidato nell'aia di casa davanti ai genitori.
LUIGI DA LIO anni 27 cittadino di Spinea
Catturato dai nazifasisti venne impiccato a Sospirolo ( BL )
il 17.02.1944
TIBALDO NIERO anni 22 cittadino di Spinea
Militava nella resistenza piemontese,arrestato venne ucciso
mediante impiccagione a Villar Perosa (TO )iI 14.08.1944.


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Il prossimo contributo riguarderà la determinante e costante azione di resistenza svolta dai ferrovieri veneziani con il capitolo tratto dalla stessa pubblicazione del Comune di Venezia - Antonio Zanon Dal Bo - dal titolo:  CARRI PIOMBATI - I ferrovieri contro l'occupazione tedesca

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