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ORA E SEMPRE RESISTENZA

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sabato 10 dicembre 2011

A Mirano, 63 anni da quell' 11 dicembre 1944, commemorazione dei martiri di Piazza Vittorio Emanuele II

Sono passati 63 anni da quella maledetta notte nella quale, le brigate nere fasciste,  trucidarono dei giovani partigiani per lasciarli nella piazza, alcuni ancora agonizzanti; furono ritrovati alle 6.00 del mattino da alcuni cittadini che stavano andando al mercato.
Anche se sono passati 63 anni non si può non ricordare il sacrificio di questi giovani che hanno pagato con il sangue il loro coraggio e le loro idee di libertà e giustizia.
E' doveroso, come ogni anno, ripercorrere quelle tragiche ore affinchè non scompaiano nella sottile trama della reminiscenza e ancor peggio del revisionismo storico.

Questo il programma dell'Anpi di Mirano con il patrocinio del Comune di Mirano
Ore  10.00  Deposizione di fiori sul monumento
 al Partigiano in piazza Martiri

Sala conferenze villa Errera:

Ore  10.30  Saluti delle Autorità Comunali 
Introduce Marcello Basso pres. Anpi Provinciale Venezia


Ore 11.00  Commemorazione – ricordo dei martiri della
Piazza di Mirano Maurizio Angelini   pres. Anpi Reg. Veneto

 Ore 11.30  Testimonianze sull’eccidio e proiezione di video 

Ore 12.00   Gemellaggio tra Sez. Anpi-Mirano  (ve) 


Ore 12.10 “Respingere il revisionismo storico” 
Prof. Luciano Padovani segr. Sez. Anpi 
“La Spasema”


Ore 12.30 “La Resistenza in pianura” 

Ore 12.50 “La Resistenza in montagna “ 

Noi vogliamo dedicare questa pagina del nostro blog a memoria dei giovani che hanno donato la loro vita per un ideale. 
Questi i nomi dei partigiani seviziati e trucidati sulla piazza di Mirano la notte tra il 10 e 11 dicembre 1944, alcuni due dei quali (i fratelli Garbin) erano cittadini di Spinea:
  • Cesare Chinellato anni 22;
  • Giovanni Garbin, anni 21; 
  • Bruno Garbin, anni 18;
  • Cesare Spolaor, anni 22;
  • Severino Spolaor, anni 21;
  • Giulio Vescovo, anni 22;




                                                                                                
  Vescovo Giulio

Severino Spolaor

 Cesare Chinellato

 Cesare Spolaor






Piazza Vittorio Emanuele II  nel 1932 (ora Piazza Martiri)


(tratto da Wikipedia) 
Brigata partigiana Martiri di Mirano

La Brigata Partigiana Martiri di Mirano fu una brigata partigiana che operò nei mesi precedenti al 27 aprile 1945 (giorno della Liberazione) nel territorio del Miranese, in provincia di Venezia. La città di Mirano per onorarli ha dedicato loro, nel 1945 , la sua piazza principale e nel 1975 un monumento di Augusto Murer.
Secondo la relazione del CLN miranese datata 6 luglio 1945 il primo nucleo di una ventina di partigiani si formò nell’ottobre del 1943 a Zianigo sotto il comando di Michele Cosmai e Oreste Licori. Alla fine del maggio del 1944 erano attivi altri due gruppi di altrettanta consistenza : uno nella zona tra Luneo e Salzano comandato da Bruno Tomat-Demonte e un altro nella zona di Scaltenigo al comando prima di Guido Gambato e successivamente da Erminio Nicoletti . All’inizio le bande partigiane operarono senza una direttiva , successivamente , ad opera di Michele Cosmai, del figlio Armando , di Tomat-Demonte e di Giochino Gasparini (in seguito sindaco di Mirano)-che curò i rapporti il Comando Superiore di Padova le attività- furono concordate e coordinate. Una delle prime azioni fu la partecipazione del rifornimento aereo delle Forze Alleate delle armi necessarie. Nel giugno del 1944 erano sorti altri nuclei nel miranese : il tenente Mario Zamengo e Bruno Eugenio Ballan organizzarono i nuclei di Pianiga, Santa Maria di Sala e Noale; il colonello Orazio Rutoli, Onofrio Confi e il sacerdote Antonio Pegoraro organizzarono i nuclei di Campocroce e di Caltana. A luglio alcuni partigiani già individuti e ricercati passarono in clandestinità e operarono come squadre agli ordini sia del CLN di Mirano che della Brigata Garibaldi “Francesco Sabatucci” di Padova.Nell’ottobre del 1944 i nuclei diventarorono Compagnia di 50-60 persone, suddivisi in squadre.


   Le compagnie erano : 
  •  “Volga”, guidata da Oreste Licori, zone operative Veternigo e Salzano;
  •  “Felisati” , guidata da mario Zamengo, zone operative Sant’Angelo di SMS, Briana, Zeminiana,    Massanzago, Mazzacavallo;
  •  “Bis”, guidata da Bruno Eugenio Ballan, stessa zona della “Felisati”.
  • “Lubian” , guidata da Giancarlo Fabris

      Alcune squadre passarono alle dipendenze della Brigata del Popolo “Guido Negri”.Dopo la battaglia di Zeminiana e Briana del 11 ottobre 1944 la compagnia “Bis” passò operativamente alle dipendenze del VI° Battaglione “Sparviero” della Brigata Garibaldi “Sabatucci” e la “Felisati” si coordinò con la Compagnia “Luneo”.Nel novembre del 1944 le formazioni diedero vita alla Brigata “Mirano” che dal febbraio 1945, dopo l’efferata esecuzione in piazza di Mirano di altri sette partigiani , si chiamò Brigata “Martiri di Mirano”.


        Le attività di guerriglia furono condizionate dalla natura del territorio del miranese che è un territorio di pianura, ricco di strade e di abitanti che ebbe l’azione di disperdere le forze partigiane in quanto non c’erano rifugi naturali. Le azioni si alternarono tra periodi di violenta lotta armata e relativa calma o alla temporanea dispersione. Ad ogni azione partigiana ci fu una reazione delle brigate nere e delle SS, con arresti e rappresaglie. Tra le azioni più significative si possono ricordare:
  • maggio 1944 – Armando Cosmai guidò l’assalto di una villa di una contessa presidiata dalla GNF con recupero di armi e documenti;
  • giugno 1944 - Ballan, Oreste Licori e Cosmai guidarono l’assalto alla caserma dei paracadutisti e alla Casa del Fascio di Dolo con recupero di armamenti;
  • luglio 1944 – azioni di sabotaggio alle linee ferroviarie che transitano nel territorio (la Mestre – Padova, la Mestre – Castelfranco) con il ferimento e l’arresto di Rutoli e di Luigi Argeo Masaro (futuro Vicesindaco di Mirano tra il 1970 e 1980). La reazione fascista si scatenò sulla frazione di Campocroce di Mirano incendiando la casa della famiglia Masaro.
  • tra il 7 e 8 luglio 1944 il nucleo di Zianigo partecipò alla liberazione di Bruno Eugenio Ballan imprigionato a Caposampiero (PD).
  • ottobre 1944- le compagnie Felisati e Bis, che si erano accampate nella campagna tra Zeminiana e Briana, il 11 ottobre furono accerchiate. La battaglia durò sette ore e lasciò sul terreno 4 partigiani (Cosimo Aiello, 21 anni; Amleto Bordoni, 17 anni; Silvio De Cesaro, 44 anni; Antonio Zucca, 24 anni) e alcune decine di militi fascisti.


giovedì 10 novembre 2011

Ciao Gino


 
La nostra morte non è una fine 
se possiamo vivere nei nostri figli
e nella giovane generazione.
Perchè essi sono noi:  i nostri corpi 
non sono che le foglie appassite 
sull'albero della vita.
   
                                       A. Einstein



si racconta che nel ricordo 
la persona continua a vivere

ciao Gino

E' morta la partigiana Nori Brambilla Pesce




E' morta Nori Brambilla Pesce, partigiana e moglie di Giovanni Pesce, comandante partigiano, con il nome di battaglia di «Visone» e medaglia d'oro al valor militare. Il sindaco di MIlano Giuliano Pisapia ha espresso il suo cordoglio: «Era una donna eccezionale, che ha avuto un ruolo importante nella storia di Milano e di tutto il nostro Paese. La sua scomparsa addolora me e tutta la città. Non dimenticheremo il suo esempio. Da ragazza lottò per la libertà insieme a suo marito Giovanni e questo le fece guadagnare, a prezzo di grandi sofferenze personali, la medaglia d’argento alla Resistenza». In uno dei miei primi atti da sindaco di Milano Pisapia andò a trovare proprio Nori Brambilla Pesce.
 
Chi era Nori Pesce

Onorina Brambilla nasce nel 1924. Dopo l’8 settembre 1943 entra a far parte dei gruppi di difesa della donna, ai quali durante la Resistenza si sono aggregate numerosissime donne per supportare i partigiani in molti modi, soprattutto per la distribuzione della stampa clandestina e come staffette,
cioè per portare ordini tra le diverse formazioni. Successivamente entra nella terza brigata GAP (Gruppi di Azione Patriottica), una formazione che agisce nelle città e che compie principalmente azioni di disturbo e di sabotaggio, per colpire le spie ed i collaborazionisti. Viene arrestata il 12 settembre 1944 a Milano, dalle S.S., nel corso di un’imboscata tesa a catturare il comandante della terza brigata GAP, Giovanni Pesce, che in seguito diverrà suo marito. Viene portata al carcere di Monza e, dopo due mesi, è trasferita al carcere di San Vittore di Milano. Dopo soli due giorni viene deportata al Lager di Bolzano, dove arriva l’11 novembre 1944. A Bolzano è sottoposta alle procedure d’ingresso: spoliazione, immatricolazione (n. 6087 e triangolo rosso, proprio dei deportati per motivi politici), vestizione. Viene poi assegnata al blocco delle donne. Onorina in un primo tempo lavora all’interno del campo, in sartoria; cuce gli indumenti laceri dei deportati che provengono dalla lavanderia. In seguito, avendo chiesto di andare a lavorare fuori dal campo, è assegnata alla raccolta della legna, alle pulizie della caserma della Wermacht ed alle mansioni più disparate. Il Lager di Bolzano è liberato il 30 aprile 1945. La giovane, insieme ad altri compagni ,decide di non aspettare i camion degli alleati che avrebbero riportato a casa i deportati, e lascia il Lager a piedi. Cammina per 5 giorni: attraversa la Valle di Non, il passo della Mendola sotto la neve.
Al Tonale trova i mezzi inviati ai deportati per il rientro nelle loro città. Il 7 maggio arriva a Milano.

(tratto da Liberoinformato e redazione Milano online)



venerdì 4 marzo 2011

8 Marzo 2011 - Le donne nella resistenza


Le donne nella resistenza

La seconda guerra mondiale come la prima, ha coinvolto ancora di più le donne, che subiscono in prima persona  le  distruzioni dovute ai bombardamenti,  la carenza di cibo,  la morte dei propri cari e  le persecuzioni razziste, fino alla  ferocia nazista che porterà all’Olocausto.
Un grande apporto alla liberazione dal nazifascismo  è stato fornito dalla società civile, società che naturalmente comprendeva sia uomini che donne.  La storiografia  "politica" però ha  privilegiato solo gli uomini, dando loro i più grandi meriti e senza tenere troppo in considerazione quello che è stato l'apporto delle donne, relegandole ad un ruolo secondario. Sarebbe stato giusto invece dare loro  risalto e merito per il loro importante contributo e non lasciarle in secondo piano.

Così non è stato e si è dovuti arrivare solo alla fine degli anni settanta per vedere  riconosciuta finalmente la vera  storia della Resistenza,  che approfondendo  il rapporto tra le donne e la lotta di liberazione, ha fornito nuove interpretazioni sulla Resistenza in Italia.  L'intera vicenda della guerra e della resistenza  è stata quindi rivisitata "attraverso una diversa prospettiva e un diverso approccio”  quello della storia delle donne,  rileggendo questioni  e processi  che hanno segnato i momenti  fondativi e la successiva intera storia  dell'Italia repubblicana".
Le donne italiane,  fin dall'8 settembre, sono sempre state vicine con cura solidale ai soldati sbandati, ai prigionieri fuggiti, e poi via via agli ebrei, ai renitenti alla leva, ai ricercati, ai bambini. Nel loro essere sorelle, figlie, madri e mogli c’era anche una volontà   di forte protagonismo e  di cittadinanza, da vivere analogamente a quella maschile, che esaltasse fortemente  la propria autodeterminazione.
Tutto ciò sarà determinante e avrà la sua influenza con  effetti sul carattere delle donne coinvolte in questo processo civile: coraggio fisico e resistenza psicologica, capacità di prendere rapidamente  decisioni drammatiche da sole, di controllo e di operatività , in campi nuovi per il mondo femminile, saranno un vero banco di prova dove si sono cimentate con prontezza e generosità.

Capacità e operatività che continueranno in essere presenti nelle donne anche dopo la fine della guerra: nelle reti di assistenza ai reduci, agli sfollati, ai bambini: caratterizzando  così un attivismo politico  delle donne  fino all’espandersi delle grandi associazioni popolari femminili come, l'UDI e il CIF.
Moltissime  donne si sono impegnate anche senza imbracciare le armi, contribuendo, con azioni antagoniste e determinanti  alla caduta del nazismo e del fascismo, consentendo  così  il propagare anche del concetto  che non esisteva solo un’ unica resistenza  armata, ma bensì c’era anche quella altrettanto incisiva del non collaborazionismo e della “Resistenza passiva”. 
Nonostante un proclama che condannava a morte tutti coloro che davano rifugio a qualcuno, molte persone  del popolo e dei ceti medi nascondevano i "perseguitati" nelle loro case. Tale scelta li costringeva  ad  arrangiarsi come potevano  dividendo con "gli ospiti" quel poco che avevano  a causa del razionamento ulteriore di tutti i prodotti di prima necessità  ridotto in piccole quantità dal “tesseramento”.
Furono soprattutto le donne a dare un rifugio alle persone che fuggivano dai rastrellamenti e che per mettersi completamente in salvo non avevano a disposizione ingenti somme di denaro e di relazioni forti che garantissero loro l'incolumità; questo è stato sicuramente uno degli esempi di resistenza civile messa in atto dalle donne.
Il comandante partigiano socialista, Boldrini, sosteneva che un esercito normale avesse bisogno per ogni combattente dell’aiuto di 7 civili; altri  sostenevano che il rapporto fosse di 1:15; questo apporto di civili  per combattente era dato per il 90% da donne che: cucinavano,  rivestivano il ruolo di staffette,  portavano le armi, curavano i feriti, etc..
Poiché si credeva che destassero meno sospetti e fossero meno soggette alle perquisizioni,  venivano impiegate  ragazze di 16, 17 o 18 anni che garantivano i collegamenti tra le varie collocazioni partigiane; a differenza della “donna partigiana” che aveva il più delle volte un'arma con la quale difendersi,  quello della “staffetta” ,  come si può immaginare,  era un ruolo molto più pericoloso, era incombente il rischio di venire catturata,  con il rischio di essere torturate,  con la responsabilità di non dare nessuna informazione.
Viene spontaneo quindi  chiedersi  per quale motivo non si  è saputo  niente di queste donne e del  loro ruolo nella resistenza, delle loro storie e delle loro immense sofferenze?
 Nell’immediato dopo guerra le istituzioni hanno riconosciuto come “partigiani combattenti” solamente chi ha militato per almeno 6 mesi in una banda riconosciuta e ha preso parte ad almeno 3 scontri armati.  In quella fase quindi le donne non sono state  riconosciute come partigiane perché non avevano tutti questi "requisiti",  mentre altre  vengono riconosciute solo come partigiane non combattenti.
Così con un processo di cancellazione istituzionale, come tutte le altre persone che hanno contribuito alla resistenza e che non sono state riconosciute come partigiani sono finite nel dimenticatoio.

Questo è il senso che si vuole dare ad una ricorrenza così importante per la nostra società, come la festa della donna, riportando alla memoria nomi e cognomi, racconti di tutte le donne che hanno, con il loro sacrificio e a volte anche con la  vita, reso possibile il nostro vivere quotidiano.
clicca sull'immagine per aprire il documento
sulle donne nella resistenza tratto dal sito dellìANPI nazionale