Con questa ulteriore testimonianza, tratta da un'edizione dal Comune di Venezia del 1975 a cura di Giuseppe Turcato e Agostino Zanon Dal Bo, continua la pubblicazione su questo SITO delle testimonianze dell'attività dei gruppi partigiani nelle nostre campagne.
Un modo per ricordare e onorare la memoria dei nostri concittadini trucidati dai fascisti delle Brigate Nere a Mirano.
GUERRIGLIA IN PIANURA
27 aprile 1945.
Uccio, staffetta partigiana, mi porta la notizia che l'insurrezione è già in atto.
Eccher ci aspetta al ponte dell'Olio, dobbiamo raggiungere subito Mirano; in piazzale Roma sono pronte le biciclette.
Sono stato tanti giorni chiuso tra una stanza e un sottoscala di palazzo Morosini a Santa Maria Formosa; per la strada mi sento come la febbre addosso.
Dopo campo SS. Apostoli voglio entrare a Ca' Littoria.
C'è un via vai di partigiani armati, un moto topo sul Canal Grande in partenza per un possibile attacco ad una postazione della g.n.r. nella zona portuale.
C'è uno che mi esorta perché m'imbarchi.
Ho uno scatto: «Ma chi sei tu?» - «Colonnello Filipponi del Comando Piazza».
Gli rispondo: «No, colonnello, no, io devo assolutamente raggiungere Mirano».
Per Strada Nuova si spara, i partigiani sono addossati ai muri, io cammino in mezzo e non bado.
Mi richiamano, macché, non c'è gusto, dopo quello che ho passato mi pare una sciocchezza tanta
prudenza.
Con Eccher ero venuto a Venezia qualche mese prima con una moneta di carta da due lire, tagliata a metà, per riconoscimento, da «Leone» (Cavallet) in Corte dell'Orso.
Con i rastrellamenti avevamo avuto troppi morti: l'11 ottobre quattro partigiani, caduti in combattimento; il 1° novembre «Negrin» (Licori ), fucilato; il 10 dicembre 1944 i sette della «Luneo» torturati, massacrati e gettati sulla piazza di Mirano; il 17 gennaio 1945 altri sette, fucilati al cimitero e molti altri catturati e in carcere, anche Don Amedeo Cornetto.
All'appuntamento manca Eccher.
Era stato preso dai tedeschi e portato a Verona: riuscirà a fuggire dopo qualche giorno.
Qui a Venezia c'è uno sbandamento come da noi.
Bisogna arrangiarsi.
Una notte ho coliche renali, mi ricoverano in chirurgia all'Ospedale Civile.
Dopo due tre giorni la mamma di Eccher e mio fratello mi portano dei vestiti e mi avvertono che le brigate nere stanno arrivando per catturarmi.
Il fascista capitano Luxardo, nostro ex compagno di liceo al «Marco Foscarinì», che mi braccava, apostrofa il dottor Lago, medico di Mirano e mio amico, dando per certo che mi avrebbero impiccato in piazza.
Con l'aiuto del prof. Vecchi, e in fretta e furia, andiamo fuori dell'Ospedale.
Ripariamo dentro il caffè Cavallo, mentre in Campo SS. Giovanni Paolo arrivano le brigate nere.
Era stato questione di pochi minuti.
La signora Pierina è spaventata, confusa, ma ha un modo di fare che quasi mette allegria, tale e quale suo figlio.
Anche lui pare che il partigiano lo faccia per gioco, mentre è nel suo carattere essere così disinvolto e allegro.
Al disarmo della polizia di Chirignago ha fatto la parte del ladro: era uno stratagemma; gridava come un ossesso, mentre i compagni lo portavano verso la caserma e agli agenti di guardia, che si erano avvicinati, «mi hanno trovato questa», - diceva -, puntando la pistola.
C'erano trenta agenti che furono messi in condizione di non nuocere e le armi portate via.
Un'altra volta dovevamo requisire le scarpe dal magazzino della caserma della guardia nazionale repubblicana, come avevamo fatto per il bestiame al raduno fascista della SAMA a Camposampiero e
per le coperte prelevate a Treponti al deposito tedesco e inviate in montagna.
Eravamo arrivati in bicicletta fino a Santa Maria di Sala, si doveva attraversare via Caltana, una strada alberata dove c'erano in sosta una decina di camion tedeschi.
Si sarebbe dovuto fare un lungo giro per evitarla, ma non c'era tempo; io ero preoccupato, lui, veneziano e non abituato alla sella della bicicletta, gongolava.
Propose anzi pane e salame, in una trattoria vicina, «così» - disse - «se moriremo sarà con la pancia piena».
Decisi di passare tra i tedeschi, a gruppetti di uno, due alla volta, pronti a intervenire.
Ci è andata bene.
Avevamo l'entusiasmo e la spavalderia dei nostri venticinque anni.
Un episodio indimenticabile la forza d'animo, il coraggio, davanti alla morte, di «Negrìn» prima di essere fucilato.
Eppure non ebbe alcuna medaglia al valor militare, nemmeno alla memoria, per noi sacra.
Poco o nulla è stato fatto per far conoscere il contributo dato da questi oscuri eroi.
Piazza Martiri - Monumento al partigiano dello scultore Augusto Murer
Quella mattina prima che lo fucilassero c'era folla in piazza davanti alla casa del fascio; io mi sono avvicinato, sono certo che anche lui mi ha visto.
Infiltrandomi tra la gente mi sono trovato vicino a Zanchin, il direttore della scuola.
Sono corso a casa di Demonte.
Credevamo di farcela a salvarlo.
Pochi giorni prima il distaccamento «Volga», del quale era comandante, era stato attaccato, a Stigliano, dalle brigate nere.
Le guidava un uomo di ben trista fama, il professor Santi.
Feci i due chilometri, che ci separavano, tutti di corsa, alla testa d'una quindicina di partigiani.
Al nostro arrivo i fascisti scapparono sul camion. «Negrìn» e il suo vice «Moretto» erano feriti, li sostituiva «Bill».
Mi fermai nel suo accampamento fino a sera.
Tra i prigionieri c'era un tenente delle S.S.
Lasciai di rinforzo «Fantasma» e Zucca.
All'inizio della lotta il primo C.L.N. era composto da Giancarlo Tonolo del Partito d'Azione, da un comunista, Michele Cosmai, altra mirabile figura di antifascista, da un democristiano, Luigi Bianchini, da un socialista, Sperandio.
Nel novembre 1943 la missione «ARGO».
Tonolo accoglie il capitano Rossoni, sbarcato con un sottomarino a Chioggia e mantiene i collegamenti tra il C.L.N. Regionale Veneto e il Comando Alleato.
A Mirano convengono, in più occasioni, alcuni rappresentanti del C.L.N. Veneto.
Ricordo in modo particolare: Ponti, Tonetti e Pasetti.
Fu un crescendo di speranza con i primi lanci alleati, con radio Londra che trasmetteva.
«255 bianco, il vento è spento, la pioggia è cessata».
Nel periodo estivo il morale era altissimo, anche se la vita d'accampamento, sotto una tenda tra i filari di vite, era dura a causa dei continui spostamenti.
L'iniziativa degli attacchi ai fascisti e ai tedeschi era sempre nostra: caserme di Santa Maria di Sala, Dolo, Noale, Scaltenigo, Mirano, Marghera, Chìrignago, e in molte altre azioni condotte in comune accordo con la «Garibaldi Padova» di Molinari e Sabatucci e la «Guido Negri» di Ranzato e Confi.
Una notte di settembre siamo arrivati a Briana, pioveva.
Avevamo cercato di avvicinarci al fienile, ma i contadini si sono messi a sparare scambiandoci per dei presunti zingari che infestavano la zona.
Eravamo una trentina.
Abbiamo passato la notte sull'erba sotto la pioggia.
Alla mattina abbiamo preso contatto con i contadini.
Siamo rimasti in quelle campagne fino al memorabile combattimento del Parauro dell'11 ottobre 1944.
I fascisti della guardia nazionale repubblicana, le brigate nere della «Muti» di Padova, della «Asara- di Venezia, di Treviso e di altri centri sommavano ad alcune centinaia.
Quattro i compagni caduti: Aiello, Siciliano, Bordoni, Emiliano, De Cesaro di Castelfranco, Zucca, sardo.
Dei fascisti molte decine tra morti e feriti come testimoniò anche l'ex Prefetto di Venezia, Barbera, dopo la liberazione.
Eravamo stati attaccati verso mezzogiorno.
Ho ancora davanti agli occhi una sensazione strana: il tempo passava quasi senza che me ne accorgessi, il sole si muoveva visibilmente e calava di colpo a ponente sull'accampamento del «Barba» che era stato attaccato più aspramente di noi.
Altre impressioni di quel giorno: ... a sera il lamento di «uno» che con crescente esasperazione, ripeteva «Salviati. ... Salviati ... »; ... il battito convulso che mi prese quando ci siamo portati fuori zona, battevo i denti e non riuscivo a tener ferma la mascella neppure con tutte e due le mani, era la speranza di vivere che tornava; ... quella scodella di grappa appena stillata, alle due di notte, in una casa di Cappella, dove avevamo veduto la luce accesa e una povera donna spaventata che mi gridava: «ti bruci le budella», e mi faceva bere su un secchio pieno di latte, ma a me la grappa era sembrata acqua fresca; ... le undici carte da mille, ridotte ad un ammasso poltiglioso per le traversie di quel giorno, tra l'acqua dei fossi, che avevo messo, con tanta cura, stese vicino al fuoco, e nel gran discorrere con i partigiani della «Lubian - Trentin»
di Bortolato, avevano preso un bel color tabacco e toccando le si sono sbriciolate.
Una lapide sulla strada del Parauro e un monumento al cimitero ricorda i Caduti della «Martiri di Mirano», la mia brigata. (1) In questi giorni un'altra opera in bronzo, scolpita da Murer, ripropone la figura del partigiano sulla nostra piazza, là dove furono trucidati sei giovani contadini appartenenti al «distaccamento Luneo».
Il settimo, Bovo Mosé, fu ucciso sull'aia davanti alla madre terrorizzata.
Ogni tanto rivedo qualcuno dei miei compagni: Bruno Ballan, Armando Cosmai, Bruno Tomat - Demonte, Ruggero Eccher, Giancarlo Tonolo, Giovanni Bortolato, Luigi Bianchini, Vladimiro Zanchi, Gioacchino Gasparini, Attilio Sgnaolin, i fratelli Masaro, Giovanni Masiero, Coi, Berto De Bei, Vescovo e «Titti» la nostra staffetta.
Quando ho l'occasione di passare per Crocetta del Montello, dov'è parroco, mi fermo a salutare Don Amedeo Cornetto.
L'ultima volta mi presentò una delle poche bottiglie che aveva di quel suo raro vino di uva fragola.
Al ricordo di quei giorni sorrideva e scuoteva la testa, ma nel sorriso, oltre il suo sguardo buono, si è fermato il ricordo dei dileggi, delle bastonature, di quando pesto ed insanguinato era uscito dalla casa del fascio verso i lunghi mesi di carcere a Santa Maria Maggiore.
Venezia-Mirano, 1975
MARIO ZAMENGO (TENENTE)
(1) La Brigata «Martiri di Mirano» su un organico di 109 partigiani combattenti ha avuto 36 caduti (il 30% degli effettivi) dei quali: 17 morti in combattimento, 11 fucilati, 7 trucidati e l deceduto in carcere.
(tratto dal volume 1943-1945 VENEZIA NELLA RESISTENZA - TESTIMOMIANZE - Comune di venezia 1975-1976)
Manifestazione contro il Razzismo a Mirano 12 Dicembre 2009
CITTTADINI DI SPINEA CADUTI PER LA LIBERTA'
LE LORO STORIE
BRUNO GARBIN anni 18
GIOVANNI GARBIN anni 22
Nati a Spinea facevano parte della formazione partigiana
" LUNEO "che subì numerosi arresti grazie alla delazione
di una spia.
Con altri quattro partigiani ( Cesare Chinellato, Cesare e
Severino Spolaor, Giulio Vescovo) vennero turturati e
trucidati nella casa del fascio di Mirano nella notte tra il
10 e 1'11 Dicembre 1944.
I cadaveri martoriati vennero esposti, per l'intera giornata,
nella piazza del paese come monito alla popolazione.
Un settimo giovane, Mosè Bovo, fu trucidato nell'aia di casa davanti ai genitori.
LUIGI DA LIO anni 27 cittadino di Spinea
Catturato dai nazifasisti venne impiccato a Sospirolo ( BL )
il 17.02.1944
TIBALDO NIERO anni 22 cittadino di Spinea
Militava nella resistenza piemontese,arrestato venne ucciso
mediante impiccagione a Villar Perosa (TO )iI 14.08.1944.
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Il prossimo contributo riguarderà la determinante e costante azione di resistenza svolta dai ferrovieri veneziani con il capitolo tratto dalla stessa pubblicazione del Comune di Venezia - Antonio Zanon Dal Bo - dal titolo: CARRI PIOMBATI - I ferrovieri contro l'occupazione tedesca
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